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Prosciutto di San Daniele, la dolcezza accarezzata dalla brezza marina e i venti alpini

Michele Crippa

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La tradizione norcina ha una storia millenaria, le prime testimonianze della lavorazione delle cosce dei maiali datano del V secolo A.C. sulle terre allora appartenenti agli Etruschi, ma questa tecnica si diffuse, ben presto, in tutto il territorio italico, e, a partire dal Medioevo, la produzione del prosciutto era ormai una tradizione nazionale. Ma vi siete mai chiesti da dove venga questa parola? La sua origine pare sia latina, pro-exuntus (inaridire, asciugare), e richiamia la tecnica di produzione di questa prelibatezza, cioè la capacità del sale di estrarre i liquidi dalla carne in modo da poterla conservare per dei lunghi periodi. Se guardiamo, invece, gli altri due paesi dove la produzione di prosciutto crudo è molto radicata, l’origine del nome è molto diversa, poiché in  francese, e per influenza anche in spagnolo, jambon e jamon, fanno semplicemente riferimento alla parte del corpo utilizzata per produrlo, cioè la zampa, jambe.

Il metodo di preparazione del prosciutto crudo è molto simile in tutti e tre i paesi, molto spesso le differenze sono da ricercarsi più a monte, come, ad esempio, la razza di maiale utilizzata, la loro alimentazione, o addirittura il peso dell’animale, che caratterizzerà, di conseguenza, anche quello dell’insaccato. In questo articolo ci soffermeremo su uno dei principi dei prosciutti italiani, quelli di San Daniele del Friuli.

Se è vero che il disciplinare permette che i maiali (Large White, Landrace e Duroc) utilizzati per la produzione di questo prosciutto vengano da dieci diverse regioni del centro-nord della penisola, è esclusivamente all’interno di questo piccolo comune in provincia di Udine, a metà strada tra le Alpi Carniche e il Mar Adriatico, che avvengono tutte le fasi della lavorazione e affettamento dei 31 prosciuttifici aderenti al consorzio. I maiali vengono macellati nelle loro regioni d’origine e solamente le cosce vengono spedite a San Daniele, conservate ad una temperatura di circa 0°C. Una volta giunte a destinazione le cosce vengono messe a riposare per 24 ore, rifilate e in seguito ricoperte con del sale marino per un numero di giorni pari al loro peso. Alla fine di questa fase di salatura i prosciutti vengono pressati in modo da far penetrare al meglio il sale nelle carni e  ottenere la caratteristica forma a chitarra. È tempo ora per un ulteriore periodo di riposo che durerà circa 3 mesi, ad una temperatura di circa 5°C, al termine del quale i prosciutti verranno lavati con acqua tiepida, e, grazie a questo piccolo shock termico, si tonificheranno le carni. Inizia, così, il periodo di stagionatura per il San Daniele, che dovrà durare almeno 13 mesi.

È proprio in questa fase che entra in gioco il fattore determinante per la qualità di questo prosciutto: il territorio. La particolare posizione geografica di questo paesino permette alla brezza del Mar Adriatico di risalire il fiume Tagliamento, di incontrare i venti più freddi che invece scendono dalle Alpi, creando, quindi, le condizioni di umidità costante ideali alla stagionatura. La parte della coscia non protetta dalla cotenna viene ricoperta, poi, con della “sugna“, una pasta a base di grasso di maiale e farina di riso, o frumento, in modo da evitare un’eccessiva essiccazione delle carni. Durante tutto il periodo di stagionatura vengono effettuati periodicamente due tipi di controlli: la battitura, per verificare la consistenza delle carni, e la puntatura, tramite la quale si valuta la stagionatura valutando, inoltre, i profumi del prosciutto.

 

Alla fine di questa fase ogni singolo pezzo viene sottoposto ad uno scrupoloso esame organolettico, al termine del quale ciascun prosciutto si verrà attribuire la marchiatura a fuoco con il logo del consorzio. Il segno distintivo per eccellenza che vi permetterà di riconoscere questo prodotto in mezzo ad altri prosciutti è sicuramente lo zampino che, al contrario degli altri prosciutti italiani, non  viene tagliato, poiché, oltre che per rispetto di antiche tradizioni, i produttori ritengono che favorisca il drenaggio dell’umidità e ne migliori la stagionatura. Che sia proprio questo il segreto della sua dolcezza?

 

Immagini tratte da prosciuttosandaniele.it/

Responsabile della sala di un ristorante parigino carico di storia come il "Lucas Carton", dove, insieme a Giovanni Curcio, lo Chef Sommelier, continua a portare avanti quello stile franco-italiano che tanto lo aveva affascinato a Londra, ma anche, e soprattutto, a cercare di trasmettere la sua passione alle nuove generazioni. Il progetto Chiccawine si sposa proprio co questo intento: promuovere, tramite le nuove tecnologie, le tecniche di sala e bar, portare la curiosità su prodotti tradizionali che meritano di essere messi sotto le luci dei riflettori e far conoscere gli uomini che dedicano la loro vita affinché tutto questo non scompaia.

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