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Storie - Histories

Oltre un secolo di storia del vino americano. Mayacamas Winery, bella e dannata. Incastrata nella roccia; riuscirà ad attraversare tutte le epoche del consumo californiano, dalla proibizione agli hippie con Ripple wine, passando per le due guerre. Un mito raccontato da Giovanni a chiccawine.

Giovanni Curcio

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Ci siamo spesso imbattuti, parlando dei vini di Napa Valley, nelle montagne di Mayacamas.

Pezzi di roccia fantastici, con un’altezza che supera i 780 metri sul livello del mare. Un blocco vulcanico abbastanza ampio e per certi aspetti composto di roccia anche frivola, che nei millenni passati(forse anche milioni di anni) ha permesso, grazie ad una erosione parziale dei suoli, con i suoi detriti di arricchire le vallate circostanti rendendo favorevole la coltivazione della vite a Napa.

Ovviamente c’è stato un uomo folle abbastanza da coltivare a Mayacamas. Si chiamava Fisher, immigrato tedesco, nel 1889 costruisce prima una sorta di ranch, poi la vigna circostante spingendosi fino a quasi 700 metri sul livello del mare.

Il lavoro iniziale era soprattutto legato alla lavorazione del terreno, ossia eliminare roccia per poter piantare vigna e forse non solo. Nonostante ci siano molte informazioni a riguardo, le fonti sono poco certe su molti aspetti della costruzione della casa vinicola. Fisher lavorò tra una California che iniziava una innovazione nell’agricoltura e riuscì a vivere di vino, attraversando anche la proibizione americana, fino al 1941, anno un cui l’inglese Jack Taylor ne comprò il dominio.

Ovviamente Mayacamas è sempre stata un monopolio, in quanto a nessuno verrebbe in mente di produrre negli stessi vigneti né essere vicino di questa casa vinicola, bella ma dannata, difficile da coltivare, soprattutto se  guardiamo alla sua storia.

 Fu proprio Taylor a denominarla Mayacamas Winery, ovviamente per la vicinanza dei monti di Mayacamas. Prima di Taylor l’azienda si chiamava Fisher ed oltre a produrre vino vendeva uva(ecco spiegato il mistero della sopravvivenza durante la proibizione).  

Jack Taylor continuò però a vendere uva fino al 1946, anno in cui iniziò l’imbottigliamento con il nuovo nome. Bisogna però riconoscere a questa casa vinicola il dono di aver conservato bottiglie e stock vecchi durante i decenni di vita che ne hanno caratterizzato sia la sua storia, sia la storia del vino californiano ed americano, in quanto, tra una guerra ed un’altra, la mancanza di manodopera e le difficoltà legate alle varie malattie della vite che seppur in America ebbero un impatto minore, furono tuttavia importanti.

Taylor scelse come enologo Philip Togni negli anni 50′. Togni dimostrerà una capacità unica nel gestire questa casa vinicola che esigeva molto ed era ambiziosa; Taylor aveva già scelto, oltre al nome dell’azienda , anche l’etichetta(in quei tempi non era affatto cosa da poco).

Ovviamente stiamo attraversando tutto il periodo dei cambiamenti di consumi, da fine 800′ inizio 900′, in cui tra vino, succo d’uva o uva non importava molto; alla proibizione, dove il vino era alcol e quindi vietato e venduto al mercato nero al pari di qualsiasi droga, fino alla fase del boom economico in cui gli americani scoprirono i vini aromatizzati ed arricchiti di mistelle, come il Ripple wine(anni più tardi sarà criticato in quanto aveva prodotto una larga generazione di alcolizzati). Oltre al Ripple wine gli americani vantano di bere poco vino, preferendo latte e succo d’uva, prugne della California(le prime industrializzate) e tacchino. In un ambiente simile, grandi menti dell’enologia, che avevano studiato i grandi vini francesi di Bordeaux, dovevano confrontarsi su un mercato libero e selvaggio, dove non esistevano  le denominazioni d’origine e le regole erano poche;  dove le imitazioni di etichette( a volte abusive, ma spesso completamente legali) e gli inganni commerciali erano la norma.

Jack Taylor non ebbe figli, nè eredi e quindi vendette la casa vinicola al finanziere Robert Travers. Per Travers, il vino non era una questione di soldi o di azienda, trasformò Mayacamas in un vero gioiello, introducendo gli allotments ossia vendendo allocazioni di bottiglie a pochi clienti scelti da lui, principalmente tra ristoratori stimati(in California non sono mai mancati).

Travers riuscì ad ingaggiare Bob Sessions, che sarà a Mayacamas per qualche anno prima di partire per tre decadi a Hanzell, altra casa celebre al quale lui ne farà accrescere il prestigio.

Dal 2013 c’è aria nuova in quanto Jay Schottenstein ha comprato Mayacamas Winery ed ha promosso Philip Coturri a capo della vigna(soprattutto) e della cantina di questa tenuta. Coturri è riuscito a piantare qualche metro più in alto ed a fare un lavoro moderno, basato sul rispetto della biodiversità.

Jay Schottenstein aveva acquistato una tenuta ormai in abbandono, perché a Mayacamas, se lasci un attimo correre la natura ti vince facilmente.

I vini sono sempre stati nel rispetto assoluto del frutto, con una fermentazione in cemento(epoca Travers) e acciaio o legno in epoca moderna. Il sauvignon blanc è sempre stato piantato in cima alla tenuta.Affinato dagli inizi  in grandi botti per salvaguardare uno stile minerale. La ricerca del surmaturo o del molto maturo non è mai piaciuta a nessuno degli enologi e proprietari a Mayacamas. In questa tenuta alcuni vini hanno mantenuto uno stile immutato attraverso i cambiamenti molto bruschi che sono avvenuti. Nonostante l’infelice prova di pinot nero negli anni 70′ e 80′, Mayacamas è riuscita ad ottenerne oggi  uno semplice ma buono. Il suolo vulcanico ed estremamente povero dà troppo poco a questa uva, che può adattarsi ai terreni più ostili ma ha comunque bisogno di una stabilità climatica che questo microclima fatica a dare. Pensare che Mayacamas è riuscita anche a produrre una vendemmia tardiva di zinfandel(se non sbaglio) nel 1984! il peggiore anno da quando l’uomo ha inventato il vino!(scherzo).

Lo chardonnay è più ricco e riposa in botti da 225 lt di cui una parte nuova. Mentre il sauvignon blanc è l’espressione della mineralità selvaggia di questa zona, lo chardonnay è più eccentrico, grasso ma allo stesso tempo con una bellissima acidità che ricorda gli agrumi in fin di bocca. Il Cabernet Sauvignon è un’esplosione di profumi che vanno dai piccoli frutti neri e rossi alle note speziate di chiodo di garofano e pepe nero. L’eleganza non ha mai abbandonato il cabernet a Mayacamas in quanto è sempre stato la perla ed l’appagamento degli enologi di questa casa, che hanno saputo proteggere anche nei momenti in cui tutto il mercato californiano correva alla ricerca del gusto parkerizzato( a torto in quanto Robert Parker non ha mai veramente esplicitato la preferenza per i vini troppo opulenti-era forse una interpretazione della sua guida che negli anni 80′ e 90′ doveva far conoscere il vino, soprattutto quello francese di Bordeaux, agli americani).

Nel 2017 la tenuta fu abbastanza rovinata dagli incendi e pare che anche il 2020, oltre alla pandemia abbia purtroppo offerto un’altra serie di incendi a questa casa.

Sembrano tante cose per una casa vinicola, incastrata nella roccia, selvaggia, con una storia complicata; ma non dimentichiamo che questa tenuta ha attraversato più di un secolo di storia americana e dei cambiamenti di consumi epocali. Mayacamas è un luogo selvaggio ma con un’anima che veglia sulla sua continuità.

Giovanni Curcio

Ps. qualche link in lingua francese, traduzione in arrivo.

Dans le Nord de Napa: Calistoga AVA

La formation d’un terroir.

Un passage par Saint Helena

 

Sommelier de l'année 2022 Gault&Millau Luxembourg

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