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Bloody Mary, il cocktail perfetto per i risvegli difficili

Michele Crippa

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Che preferiate chiamarle credenze popolari, leggende metropolitane o rimedi della nonna, pare che l’origine del Bloody Mary abbia molto a che fare con queste teorie. Si dice, infatti, che il succo di pomodoro sia un rimedio miracoloso contro la sbornia, e alzi la mano chi, invece, non ha mai seguito il consiglio di un amico con il classico “chiodo scaccia chiodo” di bere un bicchiere all’indomani di una notte di baldoria. Mettete questi due rimedi insieme e otterrete il primissimo Bloody Mary. Il primo a sperimentare questo mix pare sia stato Fernand Petiot, barman dell’Harry’s New York Bar di Parigi, che aggiunse al succo di pomodoro della vodka, distillato portato a Parigi dai russi che scappavano dalla madrepatria a seguito della rivoluzione comunista; l’attore George Jessel si  attribuisce, tuttavia, la paternità di questo cocktail, raccontando che, dopo una notte passata a bere champagne a Palm Beach, alle otto del mattino ebbe l’idea di bere vodka e succo di pomodoro, drink che “riuscì a mettere KO tutte le farfalle che svolazzano nello stomaco”(cit.).

Ma perché questo nome?

Se diamo seguito alla paternità di Petiot le possibilità sarebbero due, entrambe legate al colore rosso sangue di questo cocktail: la prima chiama in causa la regina Maria Tudor e il suo violento tentativo di imporre la religione cattolica nel Regno Unito, che gli valse il nome di Maria la Sanguinaria (Bloody Mary), la seconda invece una certa Mary, che un cliente abituale era solito incontrare al Blood Bucket Saloon di Chicago. Se invece decidessimo di credere a Jessel, sembrerebbe che un’amica chiamata Mary si rovesciò il cocktail sul vestito, e guardandosi allo specchio esclamò “adesso potete chiamarmi Bloody Mary”.

Quel che è certo è che la ricetta fu perfezionata solo negli anni ’30, e proprio da Petiot, il quale si trasferì a New York alla fine del proibizionismo per lavorare al St Régis. La clientela americana trovava il cocktail insipido e il barman decise allora di aggiungere sale, pepe, della salsa Worcester, del Tabasco e del succo di limone: quel giorno nacque il Bloody Mary così come lo conosciamo oggi. Petiot dovette, però, far fronte a due problemi, il primo era che la vodka non era così diffusa negli Stati Uniti come lo era a Parigi, il secondo era che il proprietario del St Régis riteneva il nome di questo cocktail non  adatto  alla clientela alto borghese newyorchese del proprio locale. Bisogna ricordare, infatti, che Bloody significa sì sanguinaria o insanguinata, ma anche maledetta, nel senso del più scurrile f**cking. La soluzione fu di ribattezzare il cocktail con il nome di Red Snapper e di rimpiazzare la vodka con il più diffuso gin. Il risultato non fu quello sperato e si dovette fare marcia indietro, ripristinando il nome e l’ingrediente originali.

Ogni volta che un nuovo cocktail viene creato, nascono, tuttavia, una miriade di varianti e, oltre a quella con il gin che ho già nominato, ne esiste anche una a base di tequila chiamata Bloody Maria, o ancora con del whisky, il Bloody Joseph. A volte, invece di cambiare il distillato di base si decide di aggiungere un ingrediente per dare un nuovo ventaglio di sapori ad un cocktail, il Bloody Mary è spesso aromatizzato con una riduzione di brodo di carne, Bloody Bull, o addirittura con dell’acqua di vongole o ostriche, come nel caso del Bloody Caesar.

A dire il vero, esiste un’ultima leggenda sull’origine del Bloody Mary, poco attendibile in verità, che coinvolge uno scrittore che abbiamo incontrato spesso parlando di cocktail, Ernest Hamingay. Pare che in un periodo difficile la sua quarta moglie gli vietó di bere, e in tutta risposta lo scrittore andò al bar del Ritz Hotel e con il barman mise à punto un cocktail à base di succo di pomodoro che avrebbe dovuto mascherare l’odore dell’alcool al naso della donna. Hamingay tornò il giorno dopo, e arrivato al bancone esclamò: “Siamo riusciti a ingannare quella maledetta Maria” (Bloody Mary in inglese).

Siamo d’accordo non è la più verosimile, ma è maledettamente divertente!

Ricetta:

  • 45 ml di Vodka
  • 90 ml di Succo di Pomodoro
  • 15 ml di Succo di Limone
  • 3 gocce di  Salsa Worcestershire
  • Tabasco
  • Pepe
  • Sale

Potete prepararlo direttamente nel bicchiere ma il ghiaccio rischia di diluire troppo il drink. Le opzioni migliori sono il mixing glass o il Boston shaker. Quest’ultima opzione è secondo me la migliore, ma non agitando, bensì con il rolling, che consiste à far passare il drink da un bicchiere all’altro in modo da mantenere intatta la vischiosità del succo di pomodoro. Servire in tumbler alto, di preferenza con un unico blocco di ghiaccio in modo da evitare la diluizione. La decorazione è tradizionalmente una gamba di sedano, ma potete usare olive, cipolline, cubetti di formaggio o addirittura una fetta di bacon.

Responsabile della sala di un ristorante parigino carico di storia come il "Lucas Carton", dove, insieme a Giovanni Curcio, lo Chef Sommelier, continua a portare avanti quello stile franco-italiano che tanto lo aveva affascinato a Londra, ma anche, e soprattutto, a cercare di trasmettere la sua passione alle nuove generazioni. Il progetto Chiccawine si sposa proprio co questo intento: promuovere, tramite le nuove tecnologie, le tecniche di sala e bar, portare la curiosità su prodotti tradizionali che meritano di essere messi sotto le luci dei riflettori e far conoscere gli uomini che dedicano la loro vita affinché tutto questo non scompaia.

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